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Le tecniche di Michelangelo



Durante l’attuale intervento di pulitura della Tomba di Giulio II in San Pietro in Vincoli a Roma sono emerse importanti novità sul monumento e la sua storia, novità che hanno confermato intuizioni affiorate nel corso dell’ultimo restauro ma che il progredire degli studi e delle tecniche diagnostiche ha reso più fondate.

Le prime acquisizioni riguardano la tecnica scultorea di Michelangelo e gli accorgimenti utilizzati per raggiungere nuovi traguardi espressivi con il marmo. Da un accurato esame delle superfici delle statue è emerso che l’artista ha portato ad un diverso grado di finitura le superfici marmoree per rafforzare il valore luministico delle figure.

Alcune parti delle anatomie e dei panneggi sono state trattate a “lustro”, un procedimento fisico chimico che utilizza sottili fogli di piombo ed ossalati (generalmente veniva usata l’urina dei bambini), per conferire alle superfici un effetto lucente che rifrange fortemente la luce e produce un effetto straordinario di tridimensionalità plastica.

La perfetta coincidenza delle parti lustre con le parti che ricevevano l’illuminazione diretta dalle finestre aperte a destra della Tomba, attesta che Michelangelo ha sottoposto a questo intervento le statue solo dopo averle collocate in situ. Trattasi dunque di un completamento dell’opera avvenuto in stretta connessione con la luce ambientale, considerata quale elemento generatore della messa in scena della rappresentazione.

Non si conosce un altro esempio di un trattamento simile da parte di scultori rinascimentali e permette di conoscere un nuovo fondamentale tassello della complessa ricerca condotta da Michelangelo sulla materia. Michelangelo per la sua doppia eccellenza di scultore e pittore aveva raggiunto un livello di perfezione nella rappresentazione mai toccato da altri scultori, né prima né dopo di lui.

La necessità di esaminare nel dettaglio il marmo delle statue ha stimolato inoltre il rilievo degli strumenti di lavorazione usati per la finitura superficiale (frottage), una procedura che ha dato risultati insperati per la loro chiarezza. Il frottage ha permesso di distinguere la finitura superficiale operata da Michelangelo con l’uso di scalpelli a due denti “calcagnuoli” da quella dei suoi collaboratori, ad esempio Raffaello da Montelupo che utilizza abbondantemente la “raspa” per ultimare le superfici.

La possibilità di confrontare attraverso il “frottage”  la finitura strumentale di Michelangelo, come una vera e propria scrittura, ha consentito di verificare che la finitura superficiale dei fianchi del Mosè e del corpo del Papa è del tutto identica, confermando anche per questa via l’attribuzione a Michelangelo, non solo del volto e delle mani del Papa ma di tutta la scultura.